domenica 13 marzo 2016

Massimo Bontempelli è colto e scrive bene. Dimentichiamo Massimo Bontempelli.

Editoria italiania? eBook? Cultura? Serietà?

Riuscirà il mercato dell'eBook ad affermarsi anche in Italia? Dati i presupposti attuali, credo (e spero) proprio di no. Il cartaceo domina, forse per via dell'irresistibile profumo della copertina lucida, specie quando l'autore di turno è un'adolescente che (com'è ovvio) di narrativa capisce ben poco, come accaduto, ad esempio, con l'ultima perla sfornata dagli "editori" nostrani, My dilemma is you (Fanucci) di Cristina Chiperi, riuscita nella mirabile impresa di ottenere appena "due stelline" di valutazione media su Amazon, oltre a svariate recensioni negative.
Probabilmente tornerò sul triste caso della Chiperi in seguito, per adesso vorrei segnalarvi un autore che, purtroppo, non sento nominare spesso: Massimo Bontempelli. 
No, non parliamo del classico scrittore che "lo conosci solo se hai passato la vita in biblioteca invece che a scopare". Trattasi infatti del fondatore e principale fautore del realismo magico italiano. Per intenderci, questo tizio ha gettato le basi del lavoro di gente come Dino Buzzati o Tommaso Landolfi.

Ora, sebbene il realismo magico non rappresenti certo un genere nazionalpopolare come il fantasy o il giallo, parliamo comunque di una corrente letteraria di un certo rilievo, che annovera autori quali G. G. Marquez, I. Allende, J. L. Borges, H. Murakami, etc. Pertanto, ci si aspetterebbe che gli "editori" nostrani riservassero alle opere di Bontempelli un trattamento di tutto rispetto. 
Accade l'opposto. Provate a cercare le opere del Bontempelli su Amazon, o su qualsiasi altro store digitale: troverete poco o nulla. Per poter godere di opere preziose come La scacchiera davanti allo specchio, oppure Vita e morte di Adria e dei suoi figli, dovrete rivolgervi al cartaceo, sborsando la bellezza di quasi cinquanta euro per acquistare una raccolta dei suoi lavori (salvo, ovviamente, beccare qualche file ramingo su Google).

Vi pare ammissibile che oggi un povero Cristo possa trovare in eBook una roba come My dilemma is you, e debba invece rinunciare al piacere e alla comodità di leggere in formato digitale le opere di Massimo Bontempelli, padre del realismo magico italiano
A me no, ma credo di essere in minoranza. Inoltre, come potete facilmente immaginare, quello di Bontempelli non è certo l'unico caso in cui ho riscontrato queste sviste editoriali. 
Viva il progresso, viva l'editoria italiana.

Alla prossima.

[Se volete saperne di più su questo autore, vi consiglio anche di leggere l'ottima tesi di laurea reperibile a questo link]

mercoledì 3 febbraio 2016

Fabio Volo è un Boeing 747. E scrive di merda. Forse.


Il mio parrucchiere: “Da quando leggi Fabio Volo, ti è passata la forfora.” 
Io rispondo: “Leggo anche Calvino, però.” 
E lui: “Calvino? Che brutto nome!”

Alcuni dicono che Fabio Volo scrive come caga. Per me vuol dire poco: non sono mai stato in bagno con Fabio Volo. Altri dicono che è meglio dell'ultimo Premio Strega. Peccato, non ho letto l'ultimo Premio Strega. 

Come sempre, si brancola nel buio. Parole come “meglio”, “bravo”, “bello”, sono scatole vuote, da riempire con qualcosa.




Cominciamo col primo termine, che le persone pronunciano in media una dozzina di volte al giorno: meglio.
È indubbio che molti preferiscano la cioccolata agli spinaci, ma ciò non vuol dire che la cioccolata sia meglio degli spinaci: vuol dire solo che la cioccolata è considerata un cibo più gustoso degli spinaci. Possiamo anche affermare che, per un tizio affetto da una patologia gastrointestinale, la cioccolata sia meno salutare degli spinaci (mi perdonino i gastroenterologi per l'esempio arronzato).

Mi pare, dunque, che "meglio" e "peggio" siano concetti vuoti, da riempire con qualcosa. Perché allora non parlare direttamente di quel qualcosa? Risparmieremmo salute, scatoloni e tonnellate di gigabàit su internet.

E che dire della seconda parolina: bravo
Per capire meglio, osservate il seguente scambio di opinioni tra un Illustre scrittore e Fabio Volo:





Non so voi, ma preferisco la faccia di Fabio Volo. L'Illustre scrittore è disgustato, offeso, evirato dall'oscena fama del Volo, poiché secondo lui Fabio non è uno scrittore bravo
Vediamo di riempire anche questa scatola. 

In genere, l'aggettivo "bravo" viene associato a qualcuno che ha svolto un lavoro o creato un'opera di qualità. 
Qualità. Tutti la cercano, pochi la vogliono. Sì, perché desiderare un romanzo di qualità implica saperlo riconoscere. E saperlo riconoscere implica porsi (più o meno consciamente) alcune domande, ad esempio:
- la grammatica del testo è corretta?
- è una storia originale? (non dico tanto, diciamo più originale della cosa meno originale che ci è capitata di leggere negli ultimi anni)
- lo stile è funzionale a ciò che l'autore voleva esprimere? (ammesso che il lettore riesca a capire ciò che l'autore voleva esprimere)
- è emozionante?

E così via. 
Come vi porreste di fronte alle suddette (e altre) domande, nel caso di Fabio Volo? Se vi capitasse di rispondere negativamente, e di dover quindi riconoscere la scarsa qualità dei suoi libri, non disperate: non siete certo per questo degli emeriti falliti, ignoranti, eresiarchi della letteratura, come molti vi giudicheranno tra un sorrisetto sardonico e una gelida alzata di spalle (nella migliore delle ipotesi). È probabile infatti che abbiate divorato i libri di Fabio Volo per un motivo molto più importante e nobile del "fattore qualità": mi riferisco all'ultima scatola, dove ho scritto "bello".

Ho già parlato in modo approfondito di Qualità e Bellezza, ma vale la pena fare un breve ripasso. 
La Bellezza è soggettiva. Tutto qui. Non c'è modo di negare questa affermazione. Per quanto possiamo sforzarci di analizzare processi mentali, generare algoritmi, attenerci alle regole, nessuno potrà mai fornire una spiegazione scientifica del fatto che un'opera possa apparire Bella a una persona, e Brutta a un'altra. 
Potremmo trincerarci dietro considerazioni del tipo: "La Bellezza risente della società in cui viviamo", oppure "La Bellezza è manipolabile dai media", o ancora: "Questione di gusti!" Ma io penso che un uomo sia qualcosa di più di una somma algebrica di gusti e condizionamenti sociali. Oppure, si potrebbe affermare che tale somma non genera mai un risultato prevedibile, poiché l'uomo, per sua natura, è una creatura imprevedibile (se così non fosse, la psicologia sarebbe una scienza esatta). Tale imprevedibilità permea, di riflesso, tutto ciò che non possiamo misurare ma solo percepire, come ad esempio il mistero della nostra vita, l'esistenza (e la natura) di Dio, la Bellezza di un sasso.

Perciò, dormite pure sogni tranquilli: se i libri di Fabio Volo sono per voi più Belli di quelli di Calvino, siete perfettamente umani. E l'Illustre scrittore di turno dovrà farsene una ragione.

Rimane solo un ultimo, grosso problema, di cui la società è "colpevole". Ma ne parleremo in uno dei prossimi post, in compagnia del Grande Fratello.

giovedì 28 gennaio 2016

Otto ragioni e mezza per cui è meglio vivere di Emozioni piuttosto che di Nozioni


  1. Un post come questo, che inizia col numero “otto”, non promette nulla di emozionante.
  2. Le Nozioni appagano il nostro Ego, mentre le Emozioni sono fuori a giocare.
  3. Il nostro Ego è isterico: sbatte i piedi quando viene criticato, o quando è a corto di Nozioni da sfruttare per far sentire inferiori gli altri.
  4. Non mi pare si facciano gare su chi si emoziona di più, ma se ne fanno spesso su chi sa di più. E le gare portano a barare, offendere, mentire.
  5. Accumulare Nozioni richiede molto tempo, per Emozionarsi basta un istante.
  6. Accumulare Nozioni richiede sempre fatica.
  7. Le Nozioni si dimenticano più facilmente delle Emozioni. Pertanto, una vita ricca di Emozioni lascia molti Ricordi, una vita ricca di Nozioni lascia solo poche Nozioni.
  8. Il futuro non esiste ancora, il presente è un istante già passato. Esiste solo il ricordo, e abbiamo appena visto che il ricordo è fatto soprattutto di Emozioni.
...e mezza: le Emozioni non annoiano mai. Perciò le preferisco alle Nozioni.

Le Nozioni sono quindi tutte brutte e cattive? Lo vedremo, forse, in uno dei prossimi post.  

sabato 23 gennaio 2016

L'Ethos, l'Ingegno, e gli alieni coprofagi che leggono Baricco (secondo il Duca di Baionette)


Iniziamo con qualche citazione da incorniciare:
La Letteratura Vera, di cui ci si può vantare, sarebbe quella di autentici inetti letterari come Baricco o compagnia.
È grazie alla percezione sociale che questa merda sia “Letteratura” che l’Italia ha meno lettori di altri paesi. 
Roba che fa addormentare o disgustare per la propria vuotezza qualsiasi lettore non corrotto dal Bias del “se è Baricco è geniale, quindi deve considerarlo geniale anche se lo stesso testo se attribuito a uno sconosciuto lo giudicherei immondizia!”
Immondizia, buona per chi ama l’immondizia, ma non si fa né si giudica l’Arte con i bias dei mangiamerda. :-)
Alla fine a certi la merda spacciata per Letteratura, a furia di ripetersi che doveva piacere, ora piace davvero… si sono riprogrammati i cervelli andando contro milioni di anni di evoluzione che li spingevano a rigettare la merda. [Sì, vai così! Merda! Merda! Merda! Sono quasi all'orgasmo...NdEgo]
Le primizie che avete appena degustato rappresentano appena un accenno di ciò che il famoso (?) chef Duca di Baionette è in grado di offrire ai palati letterari più esigenti, quelli che “mobbastaveramenteperò, i lettori meritano dippiù!”.
Se cercate un'alternativa alla solita, triviale letteratura che istupidisce perfino gli individui meno istupidibili, il Duca propone menu a base di Ethos, Ingegno aristo(cra)telico (rammentiamo ai neofiti che solo l'Aristotele di cui parla sempre il Duca è quello Nobile, Augusto, quello Vero insomma), e la consueta, irrinunciabile spolverata di Escrementi.  

E non è tutto. Nessuno avrà certo dimenticato i pregressi esperimenti alchemici del Duca, capaci di tramutare tutta la letteratura di Qualità nella Sua Letteratura di Qualità, e  soprattutto di tramutare gli avventori più deboli in perfetti surrogati del Duca stesso. A titolo di esempio, citerò l'avventura dello scrivente che, colto da un subitaneo accesso di follia, ha osato varcare le soglie del blog Vaporteppa, il sinistro regale maniero del Duca.

L'Occhio del Duca sorveglia l'Arte per tutti noi

Armato di puro e semplice intento provocatorio (non potevo fare altrimenti, dovendomi presentare al Signore della Provocazione per eccellenza), mi sono accostato al Re e alle sue Guardie, ponendo loro osservazioni non prive di senso logico (sebbene, come già detto, pungenti e provocatorie). Pensando di fare cosa gradita al Duca, che non ama gli anonimi barbari che di tanto in tanto assaltano i suoi blog, ho anche voluto palesarmi per ciò che sono nella realtà non virtuale: un giovane viandante di trentasei anni, che legge tre-quattro romanzi al mese, e ha digerito numerosi manuali di scrittura (molti dei quali consigliati proprio dal Duca e, in generale, dalla sempiterna Scuola Gamberi). Ho aggiunto tali informazioni (che in altri contesti avrei certo tenuto per me) col solo scopo di persuadere il Duca con la sua stessa ingenuità, quella che gli fa etichettare come “bimbominkia adolescente che in vita sua ha letto solo Tolkien e Licia Troisi” chiunque si permetta di esprimere dissenso circa la Qualità e la Bellezza delle opere che lui Approva.

Uno dei più insigni discepoli dal Duca non tarda a farsi avanti (a dire il vero non è stato l'unico, ma gli altri non sono che trascurabili apprendisti sputaveleno da due soldi). Si tratta di Francesco Menconi, che in replica ai miei commenti si esprime così:
Secondo me sei nella fase che Dara Marks chiama “Spinta verso il punto di rottura“, appena dopo il Risveglio che consegue al primo Turning Point. Quando ero io in quella fase – molto brutta – ho perlomeno evitato di fare crociate contro chi aveva causato l’Incidente Scatenante, giusto per evitare che nel caso di una Risoluzione non Tragica del mio Arco di Trasformazione, non finissi col non potermi rivolgere a chi se ne intende davvero. Sono stato una volpe.
Secondo il volpino Menconi, questo sarebbe un adattamento comico delle teorie di Dara Marks. Cosa ci sia di comico bisogna chiederlo al Duca, dal momento che questa presunta comicità la capiscono sempre e solo i ministri del culto. Tuttavia, bisogna riconoscere che qui l'allievo ha superato il Maestro: sfruttando come “materia prima” i miei pochi commenti al suo articolo (una trentina di righe in tutto), Menconi ha elaborato un profilo completo del mio io-scrittore. Complimenti, nemmeno lo sforzo congiunto di Jung, Kafka e Maria De Filippi avrebbe fatto meglio. Ma non è finita. Siccome Menconi non ci sta ad apparire come l'ennesimo burattino catechizzato dal Duca, aggiunge: 
Ci sono alcune cose che a me non piacciono dei suoi metodi, e arrivo a dirti che probabilmente la sua attenzione ai dettagli è eccessiva in alcune circostanze
Un barlume di raziocinio, infine! Ma sarà autentico? 
Ciò che più avvilisce, caro Menconi, non è l'eccesso di zelo del Duca, che peraltro non sempre conduce alla millantata ineccepibilità del risultato, come abbiamo visto nella recensione de Lo specchio di Atlante e come vedremo a breve con la storia degli Alieni mangiamerda. Il nocciolo della questione è molto più banale: il Duca reputa imbecille (per usare un eufemismo) chiunque consideri mediocri le opere su cui ha lavorato, o chiunque consideri valide opere che lui ritiene mediocri, forte del fatto che Lui studia e applica le tecniche narrative in modo scientifico. Non c'è spazio per opinioni, poiché (secondo lui) nella narrativa, come nella matematica, non esistono opinioni, ma solo Verità. E non è tutto. Al fine di stroncare la benché minima possibilità di critica nei suoi confronti, il Duca diffonde (più o meno velatamente) un messaggio ancora più radicale: la possibilità che egli applichi male ciò che ha studiato, o che a volte possa aver frainteso le indicazioni dei famosi manuali, o che le stesse regole possano talvolta essere opinabili, è matematicamente impossibile.
In parole povere, il Duca si spaccia come sommo conoscitore e infallibile esecutore.
Proprio per questo Baricco sarebbe un povero mentecatto, e immagino che lo stesso possa dirsi di altri autori privi di uno stile perfettamente misurabile, sul quale il Duca possa apporre squadra e compasso per tracciare i suoi grafici, quali il premio Nobel Gabriel García Márquez. Cito da Cent'anni di solitudine:
[José Arcadio sta per avere un incontro con la lasciva Pilar Ternera, che lo ha sedotto]
Rimase immobile per un lungo momento, chiedendosi meravigliato come aveva fatto ad arrivare in quell'abisso di abbandono, quando una mano con tutte le dita tese, che tastava nelle tenebre, gli sfiorò il viso. Non si sorprese, perché senza saperlo se lo aspettava. Allora si affidò a quella mano, e in un terribile stato di spossatezza si lasciò portare in un luogo senza forma dove lo svestirono e lo sballottarono come un sacco di patate e lo girarono per il diritto e per il rovescio, in una oscurità insondabile nella quale le braccia gli erano di troppo, dove non si sentiva più odore di donna, ma di ammoniaca, e dove cercava di ricordarsi il viso di lei e si trovava davanti il viso di Ursula, confusamente cosciente che stava facendo qualcosa che da molto tempo desiderava si potesse fare, ma che non si era mai immaginato che in realtà si potesse fare, senza sapere come lo stava facendo perché non sapeva dove erano i piedi e dove la testa, né i piedi di chi né la testa di chi, e sentendo di non potere sopportare oltre il fruscio glaciale delle sue reni e l'aria delle sue viscere, e la paura, e l'ansia stupefatta di fuggire e nello stesso tempo di rimanere per sempre in quel silenzio esasperato e in quella solitudine spaventosa. 

Immondizia, vero?
Ma torniamo alla mia disavventura su Vaporteppa. 
Schernito, accusato di malafede (?) e alto tradimento, vengo infine bannato dal maniero. D'altronde, è mai stato accolto sui blog di questo satrapo qualcuno che abbia avuto l'ardire di contraddirlo? Ecco infine il Suo verdetto:
Hai un blog: insultami lì, fai quel che vuoi lì, non mi riguarda e non mi interessa, sono un adulto e le meccaniche degli asili non le capivo nemmeno quando ci andavo io all’asilo. Probabilmente perché sono un povero idiota, come suggerisci in modo piuttosto chiaro con le tue allusioni su quanto non capisco niente, non so fare niente, dirigo una collana a colpi di vaffanculo random e roba così. 
L'infantilismo di queste parole si commenta da sé. Vale solo la pena rammentare che io non ho mai offeso il Duca, ho riconosciuto anzi (più volte) il valore del suo progetto editoriale. Quanto al resto, mi sono permesso di criticarlo con misurata ironia, cosa che lui ha sempre fatto con ben altra presunzione, pesantezza e cattivo gusto, dapprima nel corso della sua lunga carriera di adoratore di Gamberetta, per arrivare in tempi recenti al masterpiece su Baricco. E a proposito di Baricco: a me Novecento è piaciuto molto, e a quanto pare è piaciuto pure a Giuseppe Tornatore che ha deciso di farci un film

Perdonaci, Duca! Non siam degni di legger libri,
 noi handicappati della letteratura! 

L'ultima frase poi - quella in cui l'esimio tenta di ridicolizzare la mia ironia rimarcando di “dirigere una collana a colpi di vaffanculo random” - mi riempe di quell'affettuosa commiserazione di quando si guarda un animaletto scemo lanciarsi ancora e ancora contro un vetro, senza che riesca a capire cosa lo fermi (citazione: l'animaletto scemo sarebbe Licia Troisi, secondo il Duca). Tralasciando il fatto che la casa editrice per cui lavora il Duca (Antonio Tombolini Editore) è nata da pochissimo, e che sarebbe quindi azzardato giudicarne oggi i meriti o i demeriti, trovo singolare, ad esempio, che Amanda Pitto, direttrice editoriale della collana Amaranta (proprio per Tombolini), si dichiari sul mio blog del tutto estranea alle "colorite" invettive del Duca. Del resto, se il Duca ammettesse i suoi piccoli difetti di personalità, e diventasse in generale un po' più umile, ne gioverebbero tutti: casa editrice, autori e lettori. Accade invece tutt'altro: egli sostiene di usare in genere toni “molto morbidi e possibilisti”. Evidentemente è così: nel mondo in cui il Duca crede di vivere, quello in cui lui è il Gegno incompreso della letteratura, scrivere articoli come quello su Baricco (che, ripeto, è solo la punta di un iceberg) significa usare toni morbidi e possibilisti. 

Ma il nostro Re non si arresta certo di fronte a una mera, perdonabile incapacità di autocritica. No, il deliquio giunge al parossismo quando se ne esce con “cose” di questo tipo:
L’ethos: ai miei autori lo insegno di base, non si può capire nulla davvero bene senza capire quello. E non parlo solo di narrativa, si parla di vita.

Capito miseri vermi? Lui vi insegna l'ethos, vi insegna a vivere
Non aggiungo altro.

Spassoso poi il fatto che il Duca mi accusi di "untuose dichiarazioni di sospetta ammirazione" al fine di aumentare le visite sul mio blog (ok, confesso: ho sempre pensato che il mio blog avrebbe fatto mille visite al giorno – come già fanno altri miei blog del resto – grazie ai miei untuosi commenti postati su Vaporteppa ^__^). E che dire delle sue attenzioni paterne: ma sei proprio sicuro che sia io quello che abbisogna di "calore umano" ed "esami di coscienza", mio caro babbo Duca?

Insomma, penso che il quadro sia abbastanza chiaro.  

Vediamo ora una breve recensione dell'opera Alieni coprofagi dallo spazio profondo, visto che l'ho appena letto e non ritengo opportuno farne un post a parte. Vi ricordo che la recensione è SPOILERANTE.


Non mi dilungherò come per Lo Specchio di Atlante, anche perché immagino che un'analisi approfondita interessi a ben pochi. Credo infatti che una considerevole fetta dei fedeli di Vaporteppa sia costituita dalla fronda più estremista/esaltata della Scuola Duca-Gamberi: sarebbe un inutile dispendio di tempo tentare di convincere costoro che le opere promosse dal Duca potrebbero non essere poi così magnifiche (ovviamente mi riferisco alle opere di autori italiani, scelte e lavorate dal Duca, non ai romanzi tradotti). C'è anche da dire che, a parte le (poche) opinioni presenti su Amazon (il cui valore lascia il tempo che trova, sia per lo scarso approfondimento, sia per la solita storia delle stelline...), su internet si trova ben poco riguardo Vaporteppa. Fanno eccezione le ottime recensioni del Tapiro, blogger che gode della mia massima stima (Tapirullanza è a mio avviso il miglior lit-blog italiano), ma, ahimè, vecchio "amico" del Duca sul blog di Gamberetta. Non ci metto la mano sul fuoco, ma immagino che in mancanza di tale pregresso "legame gamberesco", i pareri del Tapiro nei confronti delle opere curate dal Duca sarebbero più severi. Oppure può anche darsi che il Tapiro, come me, apprezzi molto l'intento e l'impegno che distinguono il progetto Vaporteppa dallo sterco che asfissia il mondo editoriale italiano, e che cerchi quindi di "spingerlo" (più o meno consciamente) con recensioni abbastanza accondiscendenti, che comunque non mancano di evidenziare i problemi di tali opere. In ogni caso, mi tengo il beneficio del dubbio.
Passiamo quindi a una breve analisi degli alieni coprofagi. 

Lo stile è quello a cui il Duca ci ha abituati: tagliare il superfluo, esaltare il necessario. L'intento è buono, e in linea con le moderne regole e convenzioni della narrativa, ma il risultato è discutibile. In molti casi, l'eccessiva ricercatezza sortisce effetti contrari a quelli desiderati. Ad esempio, non amo imbattermi in termini poco "user-friendly" come: 
Si avvicinò e le sclere scintillarono in mezzo al blu del viso. 
Temo che almeno il 75,65% della popolazione italiana non sappia cosa sia una sclera, perché costringerci a consultare un vocabolario?

Col piede urtò un tupperware dal coperchio verde.
La percentuale sale all'80,43%.


Non mancano similitudini "azzardate", che lasciano perplessi:
I burrito della sera prima, come alpini scafati, erano aggrappati alle pareti del suo stomaco e valutavano se iniziare una scalata.
No, Nunzio, non mi pare proprio la situazione adatta per pensare ad alpini in procinto di scalare una parete.

Inoltre, mi sono imbattuto spesso in descrizioni dall'effetto non immediato (nel senso che ho dovuto rileggerle almeno un paio di volte per visualizzare la scena), del tipo:
[Nunzio] Volò indietro, picchiò la nuca contro la stampante e spiaggiò sul pavimento. Il neon sfarfallò una risata, subito sostituita dalla faccia incazzata di Talenti.

In altri casi, ho riscontrato dettagli inutili e/o fastidiosi, che sfociano nell'abuso del famigerato Show don' tell in situazioni che non lo richiedevano:
[Nunzio] Si trascinò verso l'uscita, le gambe pesanti come cosciotti di prosciutto. Scese lungo le scale. Lo smartphone vibrò contro il prosciutto destro. Si fermò al piano ammezzato e prese l'apparecchio: un messaggio. 
La medesima scena poteva essere descritta in metà parole, sacrificando qualche dettaglio inutile (soprattutto "il piano ammezzato").

Sollevò il piede e lo calò sulla leva del cassonetto. La bocca di ferro si spalancò in tutto il suo fetore e Nunzio le diede in pasto lo scatolone con dentro lo scudo rosso durato meno di cinque minuti.
Bastava scrivere: aprì il bidone e vi scaraventò dentro lo scatolone con dentro lo scudo rosso durato meno di cinque minuti.

Chen girò la chiave e spinse l'acceleratore, girò il volante. La vettura uscì dal parcheggio. 
Hai dimenticato: allacciò la cintura, regolò la posizione dello specchietto retrovisore e controllò il livello della benzina.

O anche:
Nunzio schiacciò il tasto col simbolo della chiave e riappese la cornetta.
Troppo banale scrivere "Nunzio schiacciò il tasto per aprire e riappese"?

Un'alga scura e convessa, carica di ragù, picchiò sulle labbra di Nunzio.
Alghe convesse?!


E che dire di questo:
Nunzio spinse il carrello vicino alla cassa sette. Calò le braccia nelle buste della spesa e poggiò cinque sacchetti di patatine al bacon, cinque pacchi di pop-corn per microonde, bastoncini di pesce, patatine fritte surgelate, cordon bleu, due secchielli di gelato gusto mou, bruschette surgelate, tre pacchi di biscotti al cacao, quattro bottiglie di succo di mela, ketchup piccante, maionese, salsa barbecue, salsa worcester, salsa rosa, tre pacchi di costine, due di hamburger, un merlot e un cabernet, tre salami, un pezzo di gorgonzola, un triangolo di grana padano, una boccetta di aglio in polvere, tre pesti e cinque sughi pronti, due burrate, tre pacchi di caramelle acide, sei spiedini, del succo di limone, un vaso di Nutella da 825 grammi, sette buste di risotti pronti, olio aromatizzato al rosmarino, quattro scatole di cereali al cioccolato, arachidi, burro di arachidi, cinque pacchi di caffè, quattro confezioni di budino alla vaniglia, tre pacchi di spaghetti, due di rigatoni, tre di pennette rigate, uno di fusilli, un kit per la preparazione dei burrito, due chili di burro, sciroppo d’acero, tre scatole di sofficini, olio per friggere, dentifricio e spazzolino, schiuma da barba e lamette, due pacchi maxi di carta igienica.
Nel romanzo Il Ninja morbosamente obeso di C. Mellick III troviamo un elenco abbastanza simile. Tuttavia Mellick ha ben pensato di moderarsi, buttando giù solo poche righe, più che sufficienti per ottenere l'effetto voluto. Ma il Duca, si sa, ama fare le cose in grande. Risultato? Arrivato al grana padano, ho saltato a piè pari l'elenco. 


Non manca qualche errore nella gestione del POV, esempio:
Una fastidiosa erezione disegnò una mezzaluna contro la tuta di Nunzio.
Il punto di vista è saldamente ancorato a Nunzio. Come è possibile che lui, panzone da circo, abbia potuto vedere la mezzaluna formata dalla sua erezione? D'altra parte, non penso che Nunzio godesse degli stessi privilegi di gente come Rocco Siffredi.

Riassumendo, direi che in linea di massima non siamo di fronte a veri e propri errori. In altri casi probabilmente non ne avrei fatto menzione, ma qui si parla di Vaporteppa: nel tempio della perfezione nulla può essere concesso. Tuttavia, si conferma l'impressione già avuta leggendo altre opere curate dal Duca: sebbene lo stile sia generalmente buono (trasparente, etc), trovo a tratti una certa pesantezza. La lettura non è sempre scorrevole, come invece accade con le opere di Carlton Mellick III (cito Mellick poiché l'opera in questione, sebbene non rientrante appieno nella categoria Bizzarro, presenta molte somiglianze con le produzioni di Mellick e autori simili), che pure è capace di infilare in un unico romanzo tonnellate di elementi weird, azione, e ambientazioni tanto assurde quanto "palpabili". Amo lo stile di Mellick proprio per l'estrema semplicità, leggerezza, scorrevolezza, ma evidentemente lui non ha bisogno di far notare agli altri quanto cazzo è bravo a scrivere.

Passiamo all'esame della trama, dove ho riscontrato i problemi più grossi. Tanto per cominciare, il romanzo risulta troppo lungo se proporzionato all'esiguità del plot. Cento pagine per una storia del genere sono decisamente troppe. La tensione ne risulta penalizzata, diluita tra dialoghi ed eventi del tutto secondari, da eliminare in tronco, soprattutto in alcuni capitoli. Sembra quasi che l'autore, partendo da un'idea tutto sommato originale e divertente (alieni che mangiano merda, a me piace), abbia fatto carte false per confezionare un romanzo che giustificasse il prezzo dell'ebook. 
L'arco di trasformazione del protagonista, poi, è inaccettabile. Si parte da un ciccione frustrato, caricatura sfigata di Fantozzi, che da un momento all'altro diventa un condottiero più cazzuto, atletico e risoluto del suo idolo Schwarzenegger. Cambiamenti di questo genere non avvengono in maniera così repentina. Il risultato è che mentre il Nunzio cicciomerda è simpatico e abbastanza credibile, il Nunzio-Terminator appare inconsistente e ridicolo.

Stesso dicasi per il modo in cui Nunzio riesce a infinocchiare l'alieno per evadere di prigione: una trovata davvero pessima. Non posso credere che un essere in grado di pilotare una nave spaziale sia così stupido da cadere in un tranello simile.
Inoltre, trovo abbastanza discutibile l'umorismo che permea l'opera. Non ho alcun preconcetto nei confronti di volgarità e umorismo nero, tutt'altro, ma nelle opere di Vaporteppa - come al solito - si esagera: ciò che inizialmente è piacevole e genuino finisce così per diventare pesante e artificioso (mi riferisco ad esempio alla trovata delle scenette di Star Wars disegnate sulle maglie degli alieni, ripetuta fino alla nausea). 

Il finale poi è abbastanza scontato, ma non credo si potesse fare di meglio.

Conclusioni

Un'opera interessante, originale, a tratti spassosa. Se fosse stata scritta in metà pagine e con uno stile più sobrio, il mio giudizio sarebbe stato sicuramente positivo (e avrei meglio digerito anche la dubbia metamorfosi di Nunzio da sfigato a eroe). In questo caso, non posso che esprimermi con un: Mah.


Concludo questo lungo articolo con una confessione: mi piacerebbe lavorare con il Duca. E' incontestabile il fatto che sia molto preparato nella sua materia, e chiunque ami il fantasy (soprattutto steampunk e bizzarro) dovrebbe quantomeno prenderlo in considerazione. Pertanto, è possibile che prima o poi gli sottoponga qualcosa, al solo scopo di "toccare con mano" i suoi metodi, i suoi consigli e tutto il resto (sì, anche l'ethos!).
Le probabilità che da un nostro eventuale incontro letterario possa nascere un'opera su Vaporteppa è pressoché nulla (anche se lui volesse), per ovvie ragioni. Ma io sono del parare che nella vita è bene provare un po' di tutto, pur di non annoiarsi. Perfino il Duca.  

venerdì 15 gennaio 2016

Per dipingere una vita grande, ci vuole una grande Bellezza


In una famosa scena del film La Grande Bellezza, Jep Gambardella dice a Ramona che è stato Bello non fare l'amore con lei. Ramona ribatte che è stato Bello volersi bene.

Ricky, nel film American Beauty, ha scoperto la Bellezza in una busta trascinata dal vento:



Oscar Wilde così si esprime:
La Bellezza non può essere interrogata: regna per diritto divino.

Anche Giulio Mozzi, editor letterario e blogger, parla di Bellezza:
Quando mi domandano che cosa cerco nelle opere inedite che quotidianamente scarico, leggo, scorro, scarto (e rarissimamente salvo per una lettura più approfondita, terminata la quale quasi sempre le scarterò), io rispondo: la bellezza. E tutti, dico tutti, quando dico questo, mi guardano straniti. La bellezza, eh sì. Mica l’aderenza a un genere letterario, o a una visione del mondo, o a una certa idea di letteratura, o alle esigenze del mercato (che, sia detto una volta per tutte: se le soddisfa da sé, le sue esigenze, senza che le case editrici possano farci nulla), o alla presenza di tutti i meccanismi narrativi giusti al posto giusto, o alla natura più o meno “di ricerca” o “sperimentale” delle opere, e così via: no, m’importa della bellezza, a me, e che in un’opera ci sia della bellezza me lo dice il mio corpo, semplicemente, perché per finir di leggere un’opera faccio tardi la notte o ci ho voglia di svegliarmi presto la mattina o mi dimentico di scendere alla stazione giusta (leggo molto in treno). Il mio corpo può sbagliarsi, ovvio. Ma se non mi fido di lui, di chi mi fido? [Qui l'articolo di riferimento]

E ancora:
La bellezza (che, ripeto: non è argomentabile ma è testimoniabile) c’è o non c’è. E c’è, si vede che c’è, se c’è, anche in un’opera non finita, anche in un’opera claudicante dal punto di vista tecnico, anche in un’opera di scarsa applicabilità. Allora magari l’editore può lavorare con l’autore per portare quell’opera a maggiore finitura tecnica; può lavorare con la grafica e la promozione per metterne in evidenza l’applicabilità; ma il nucleo di bellezza che in quell’opera c’è, preesiste a tutto questo lavoro e non ne è toccato. [Qui l'articolo di riferimento]
E infine:
Sono convinto che un giudizio di valore non sia argomentabile. Posso dire perché un’opera mi sembra interessante, o nuova, o intelligente, o divertente, o commovente, o eccetera; ma, alla fin fine, a dire “sì” o “no” è il mio corpo (che mi fa leggere fino in fondo oppure no; che mi fa rileggere oppure no). [Qui l'articolo di riferimento]
Vediamo di capirci qualcosa, prima che qualcuno mi accusi di aver infestato internet con l'ennesima nube d'aria fritta.
Soffermiamoci per ora sulle opere dell'uomo (in particolare, le opere letterarie), tralasciando la natura. A mio parere, il concetto di Bellezza non ha nulla a che fare con quello di Qualità:  in alcuni casi, per un puro gioco del caso (o del Fato, o di Dio, per chi ci crede), Bellezza e Qualità possono convivere nella medesima opera. In altri, possono mancare entrambe.
Ad esempio, io considero Cinquanta sfumature di Grigio un'opera priva di Qualità e Bellezza. Attenzione però. Mentre il parere sulla Bellezza rimane mio e solo mio, il giudizio sulla Qualità riguarda soltanto le attuali regole e convenzioni della narrativa, della retorica, dell'originalità, profondità, intelligenza e via discorrendo: tutti elementi valutabili, di volta in volta, attraverso parametri oggettivi (anche se non possiamo parlare di vera e propria oggettività, come nel caso delle scienze matematiche...ma tornerò sull'argomento in un post apposito).
Sebbene gli editori a volte abbiano puntato su pubblicazioni qualitativamente superiori ad altre (senza porsi il problema della Bellezza), è capitato che queste ultime abbiano segnato l'immaginario, non le prime. E' accaduto quindi che opere di alta Qualità non abbiano lasciato alcuna traccia nella storia della letteratura, poiché evidentemente la maggior parte delle persone non vi ha trovato Bellezza.

La Bellezza è dunque un concetto puramente soggettivo, relegato alle impressioni del singolo, oppure possiamo quantificare la Bellezza di un'opera prendendo in esame il giudizio dei più?
A mio parere, la domanda non ha senso. Il fatto che un romanzo venga considerato Bello dai più, significa soltanto che più persone - e dunque, più soggettività - lo hanno ritenuto Bello. Tutto qui. Se un romanzo è ritenuto bello da Tizio, ma brutto da Caio, e poi quel romanzo diventa un best-seller, non significa che Tizio aveva ragione, mentre Caio aveva torto. Significa solo che Caio ha avuto un'impressione diversa dalla maggioranza (e il motivo è irrilevante, oltre che inspiegabile). Dunque, quando si parla di Bellezza ritengo che nessuno abbia ragione o torto, né d'altra parte si può parlare di “Ragione Collettiva”: in questi casi io preferisco parlare di Concordia.

Per Concordia non intendo altro che un comunanza di percezioni, o più semplicemente, un legame tra più individui. Si potrà poi discutere sulla natura di tale legame (accidentale, predestinato, magico, divino, meraviglioso...come volete), ma non è questo il punto. Parliamo, in ogni caso, di un vincolo che trascende la ragione (che si occupa della Qualità), poiché riguarda la sola sfera della soggettività (che invece si occupa della Bellezza). Molti artisti si sono meravigliati di fronte all'inspiegabile successo riscosso da opere (a loro parere) prive di Bellezza, e forse anche di Qualità: in quei casi, potrebbe essersi verificata una Concordia di soggettività (altre spiegazioni potrebbero essere: condizionamenti operati dagli agenti del mercato, difetto di giudizio dell'autore riguardo l'effettiva Qualità della propria opera, ammesso che il pubblico fosse in cerca di Qualità).  

Andiamo ora un po' più a fondo. Di Bellezza hanno parlato (sotto varie forme e con diversi termini) filosofi, politici, artisti... Io darò una mia interpretazione, senza assillarvi con citazioni intellettualoidi, analisi eziologiche e altra roba inadatta all'anno 2016 (e anche a me).

Il famoso di più (non il giornale). 

Il comportamento umano, come scritto nella presentazione del blog, mi provoca spesso un moto di repulsione (ovviamente parlo anche di me). L'uomo è ossessionato dal desiderio di avere di più: più ragione, più soldi, più potere, più sesso, più fama... Questa dipendenza ci distoglie dalla ricerca del Bello: in definitiva, finiamo per dedicare tutto il Tempo di cui disponiamo ad assecondare la fame insaziabile della nostra Volontà (come ha brillantemente inteso Schopenhauer).
La ricerca della Bellezza, dunque, non ha nulla a che fare con la nostra atavica Volontà di vivere, che si traduce poi nel bisogno spasmodico di ottenere sempre altro, generando un ciclo infinito di insoddisfazione. Tuttavia, interessarsi alla Bellezza non significa annientare la nostra Volontà (sarebbe innaturale), ma semplicemente affiancarla, concedendo una parte del nostro Tempo alla ricerca di qualcosa di non misurabile (la nostra Volontà, infatti, deve pur sempre accontentarsi di soldi, potere, fama...tutte cose misurabili), qualcosa che ci permetta, anche solo per un attimo, di squarciare il Velo di Maya, o di incontrare Dio (se ci credete), o di percepire - non capire - il nostro peso nel mondo.

Attenzione, quando parlo di Bellezza, non parlo necessariamente di emozioni. L'effetto di cui parlo non è altro che un incontro con la Bellezza: può avverarsi di fronte a un sasso, a un uccello morto, all'aurora boreale, a un dialogo di Pulp Fiction, a un romanzo di Fabio Volo o a un sonetto di Petrarca. L'emozione, invece, può essere facilmente manipolata, costruita, progettata. Un'opera come Twilight può emozionare, poiché oggi qualcuno ha capito come plasmare (e forse perfino creare) le emozioni della massa: ciò significa che la massa ha insegnato a quel tizio come promuovere un'opera di quel genere, e che lui a sua volta ha influenzato la massa promuovendo quell'opera. E' un processo in continuo divenire. Domandarsi come avviene, o come è iniziato, non ci porterà mai a nulla: sarebbe come chiedersi se è nato prima l'uovo o la gallina. 
Occorre quindi fare una distinzione tra: Qualità letteraria, Valore di mercato, e Bellezza. I libri di Fabio Volo, nell'odierno contesto italiano, hanno senza dubbio un rilevante Valore di mercato, pur non essendo opere di Qualità (per chi l'avesse dimenticato, ho già fornito una breve definizione di Qualità all'inizio del post). La percezione della Bellezza rimarrà invece del tutto soggettiva: qualcuno potrebbe scorgere Bellezza in Fabio Volo, ma non in Pirandello.


Bellezza e Uroboro

Personalmente, sono una persona profondamente malata di Noia. Pertanto, mi capita (assai di rado) di vedere Bellezza in tutto ciò che non mi annoia. Ad esempio, trovo che alcuni aspetti della quotidianità (la mia quotidianità, fatta di tante “piccole cose” certo differenti da quelle che riguardano i rimanenti 7,38 miliardi di abitanti della Terra) siano molto Belli, poiché non mi annoiano mai. La Bellezza infatti, a differenza di tutto ciò che brama la Volontà, non è misurabile, non è consumabile, e dunque non può mai annoiare.
La maggior parte dei libri letti in vita mia (penso almeno il 90%) mi ha annoiato. Dunque, non li reputo Belli. E potete parlarmi di tutti gli stratagemmi letterari che volete, potete applicare tutte le regole e regolette della narrativa, della retorica, della neuronarratologia, etc. Rimane il fatto incontestabile che in alcune opere, pur con i loro difetti di Qualità, io ho trovato Bellezza. Potrei rileggere quelle storie fino a memorizzarne ogni parola, senza mai annoiarmi (parlo soprattutto dei romanzi di Michael Ende). 
In altre opere, i cui autori ed editor hanno applicato (o credono di aver applicato) con “maestria” le attuali, gigapediche, stratodontiche, infallimentari Tecniche della narrativa (che, tra le altre cose, dovrebbero insegnare proprio come non annoiare il lettore), mi sono invece annoiato molto. Posso affermare che fossero opere di Qualità, questo sì, ma non che fossero opere Belle. 
Purtroppo, essendo la Bellezza piuttosto rara (non credo che sia rara perché “di solito si dice così”, lo dico perché per me è così), devo spesso accontentarmi di sfamare la mia Volontà, acquistando oggetti, provando esperienze forti, viaggiando per il mondo, o leggendo (dall'inizio alla fine, argh...) romanzi di Qualità, che però non reputo Belli.

Per farvi meglio comprendere il mio punto di vista, proverò a fare un esempio banale. La Bellezza, per me, funziona così: 

Perché mi piace quel fiore? 
Perché è bello.
Perché è bello?
Perché mi piace. 

Si può anche ribaltare:

Perché quel fiore è bello?
Perché mi piace.
Perché mi piace?
Perché è bello.

L'Auryn. Mi pare abbastanza chiaro, no? 

Potrebbe destare confusione l'accostamento tra Bellezza e Piacere, me ne rendo conto. Vi prego pertanto di intendere il termine "piacere" come semplice causa ed effetto di un vostro incontro con la Bellezza (anche perché non saprei quali altri termini utilizzare per definire la "sensazione umana" legata a tale incontro). Troveremo quindi che, così come non esiste un punto in cui inizia o finisce un Uroboro, allo stesso modo non esiste un punto in cui nasce o finisce il Bello. 
La Bellezza viene da un solo punto e da tutti i punti del cerchio insieme. Viene da Dio, dall'assoluto, dall'infinito, ditelo come vi pare. Ed è proprio come Dio, come l'assoluto, come l'infinito: tutta roba non quantificabile, senza prove, misure, inafferrabile per noi miseri esseri finiti. Roba non umana, insomma, di cui però ci piace tanto parlare.

Il post serio è finito, ma non è escluso che ne scriverò altri. 
Da domani si torna alle cazzate, all'ironia da quattro soldi e alle chiacchiere di qualità decisamente altalenante. Spero che qualcuno le trovi Belle, ma in fondo non importa: tra uno sprazzo e l'altro di Bellezza, io cerco solo di non annoiarmi. 

lunedì 4 gennaio 2016

Realismo magico, Surrealismo, Bizzarro: starter kit per chi ha la nausea di maghetti e vampiri innamorati


Inizierò da oggi a scrivere di letteratura, quella che piace a me, sperando di fare cosa gradita a tutti i curiosi. Ho detto "curiosi", perché la letteratura è prima di tutto curiosità. Senza curiosità, diventa solo noia, o, peggio, mera occasione di farsi i fregni sciorinando citazioni di scrittori famosi, con la segreta (e forse inconscia) speranza di poter investire l'interlocutore di turno esclamando ad occhi sgranati: “Ma dai! Ti piace Dostoiéschi e non conosci Iadoròschi!” 
Siccome la curiosità al giorno d'oggi – in qualsiasi campo – va appagata nel tempo/spazio di uno starnuto, magari grazie a qualche App che ci permetta di esplorare i fondali delle Filippine con un solo click, vedrò di fare il possibile per non essere troppo accademico-prolisso-barboso-insomma quella roba là. 
Vi parlerò di un genere da me molto amato, il realismo magico, provando a stendere un breve confronto con altri generi “cugini” che non disdegno: surreale bizzarro. In realtà, si tratta pur sempre di letteratura che attinge (in maniere molto differenti) al bacino del fantastico.
Fermi tutti: non iniziamo a picchiarci a suon di scudisciate semantiche, interpretazioni metafilosofiche e declinazioni intellettualoidi: ognuno segua la sua fede e non rompa le palle agli altri, grazie. Purtroppo quando si parla di letteratura fantastica sorgono spesso diversi dubbi: ciò che per molti è definibile reale (pur trattandosi di realtà filtrate da percezioni soggettive, o semplicemente molto improbabili ma non impossibili), potrebbe per altri appartenere alla sfera del fantastico e viceversa: ciò accade soprattutto in quelle opere dove è molto sottile il confine tra realtà e fantasia, possibile e impossibile, oggettivo e soggettivo. Pertanto, ritengo inutile e noioso infilarmi in un loop di sterili classificazioni: io stesso potrei cambiare idea dell'oggi al domani riguardo lo scaffale più adatto ad alcune opere. Cercherò quindi di tracciare un quadro di massima riguardo le differenze tra i generi citati, al solo scopo di incuriosire i neofiti.


Surrealismo e Realismo magico

Se volete saperne a pacchi sulla storia, le influenze, le evoluzioni e vattelappesca, leggetevi la pagina in inglese di Wikipedia (la pagina italiana è piuttosto scarna...non sapete l'inglese? Un Google Translate non si nega a nessuno). Qui riporterò esempi concreti, solo pratica, niente teoria, citando qualche autore da me particolarmente apprezzato.

Molti conoscono Ende come autore de La Storia Infinita, ma questo geniaccio dell'onirico ha scritto anche altro, soprattutto racconti di  matrice surrealista (suo padre, Edgar, era pittore surrealista), come nella raccolta Lo specchio nello specchio
A mio avviso, l'autore di opere surreali si comporta un po' come un alchimista dedito a sperimentare: la realtà non è più una dimensione concreta, regolata da leggi e logiche immutabili, ma un conglomerato di pura e semplice materia astratta, che può essere plasmata, deformata, aggregata e interpretata a piacimento. Il fine ultimo può essere: esaltare un concetto, un paradosso, una sensazione, una riflessione.
In uno dei suoi racconti, Ende ci parla di un ballerino che, immobile, attende da un momento all'altro l'inizio dello spettacolo. Il ballerino è in perenne attesa, e non vede nulla se non un pallido cerchio di luce puntato sul sipario chiuso di fronte a lui, un pesante drappo nero che, da ogni lato, si perde nell'oscurità. L'autore sembra chiederci: cosa ci vedi? Una metafora della vita? Bravo, è la risposta giusta! Oppure non ci hai visto niente? Bene, anche questa è la risposta giusta. D'altronde, perché sforzarsi di trovare un senso in ciò che per te non ne ha? Accetta l'assurdo, assaporalo come un piatto di gnocchi, senza domandarti nulla: scoprire gli ingredienti, o chi l'ha cucinati e perché, non renderà il piatto più gustoso.

Con Borges possiamo farci ancora più male (preparate analgesici in quantità). Che dire di una biblioteca infinita, che ospita tutti i libri possibili? Non tutti i libri del mondo, non tutti i libri dell'universo: si parla di tutti i libri contenenti tutte le possibili combinazioni di caratteri. Tra questi, esisterà dunque anche il libro che racchiude la Verità, e di conseguenza anche il libro contenente il suo opposto. Non c'è più differenza tra bianco e nero, tra vero e falso: c'è solo la biblioteca, puro concetto, “semplice” gioco matematico, che oltrepassa, anzi, ignora, ogni tentativo di definizione o classificazione. Consiglio: non leggete Borges sotto effetto di stupefacenti: potreste diventare normali, e non tornare mai più nel mondo di Facebook. 

A proposito di cose impossibili...

Borges è sempre piuttosto criptico, e sebbene gli accademici lo ritengano uno dei principali esponenti del realismo magico, non mi sentirei di metterlo nella stessa categoria di José Saramago, Gabriel García Márquez, Isabel Allende, o Haruki Murakami. Visto che li ho nominati, vediamoli in breve. 
Saramago, nel celebre romanzo Cecità, dipinge un quadro molto realistico di ciò che accadrebbe qualora il nostro mondo  – una società "standard", senza distinzioni di sesso, nazionalità, religione... – venisse colpito da un'epidemia che rende tutti ciechi. Realismo magico, allegoria, distopia...chiamatelo come vi pare. Sta di fatto che l'autore non ci va leggero: il ritratto della creatura "uomo" è perfetto. Non c'è nulla di assurdo o interpretabile: il bene e il male sono concetti ben distinguibili, così come i loro effetti.  

Nelle opere di Gabriel Garcia Marquez e Isabel Allende gli elementi fantastici sono strettamente legati al quotidiano: apparizioni, alterazioni fisiche e premonizioni sono eventi comuni, del tutto naturali. L'elemento surreale è del tutto assente, anzi: i personaggi agiscono sempre all'interno di contesti storici e sociopolitici ben definiti. Gli elementi fantastici hanno soprattutto (ma non solo) il ruolo di necessari strumenti di caratterizzazione. Nel celebre romanzo di I. Allende, La casa degli spiriti, i capelli verdi e gli occhi da sirena di Rosa del Valle non sono elementi fuori dall'ordinario, ma straordinari nell'ordinario: Rosa appare come una “creatura marina”, dalla bellezza eterea, irresistibile, che trascende ogni canone estetico. 
Per semplificare (non picchiatemi), potremmo dire che lo scopo di questi autori consiste nell'esaltare le percezioni soggettive della realtà. I personaggi non immaginano di dialogare coi loro antenati: ci dialogano effettivamente. Una donna non è solo bella: è una creatura divina, sic et simpliciter, poiché così la vedono realmente gli uomini. La chiaroveggenza non è un elemento accessorio, ma parte integrante della vita di Clara del Valle, donna di eccezionale saggezza e volontà: Clara del Valle non avrebbe potuto essere Clara del Valle senza la chiaroveggenza.
Il valore di queste opere deriva proprio dall'aver mostrato come non occorra per forza trasferirsi nella Terra di Mezzo per meravigliare il lettore: l'ordinario è teatro di meraviglie non meno affascinanti delle magie di Gandalf.
  
Tiriamo ora in ballo il sempre amato e citato Franz Kafka. Togliendo La Metamorfosi, che non ho mai apprezzato più di tanto, consiglio di leggere i suoi famosi romanzi: Il Processo, e soprattutto, Il Castello. Grazie a questi capolavori, scopriamo quanto misera e angosciosa possa essere la vita di un fesso qualunque alle prese con il Potere. Sì, parliamo proprio di un fesso qualunque, parliamo di me, o di te. Non serve addentrarci in chissà quali speculazioni filosofiche del tipo “nell'opera di Kafka emerge una metafora nichilista della vita umana, che ci porta a riconsiderare l'ottica meccanicistica etc...” Per come la vedo io, Kafka non fa altro che piantarci addosso i chiodi dell'apparato sociale: l'uomo qualunque è schiacciato dalla piramide delle gerarchie. Anche qui, l'elemento fantastico è subdolo: i potenti (che si tratti di avvocati, funzionari, sindaci, o segretari) sono così potenti da risultare inafferrabili, irraggiungibili, infallibili come divinità. La loro logica è oscura, inconoscibile. I loro pensieri non sono i nostri pensieri. Un povero Cristo viene processato e condannato, ma non riuscirà mai a capire il perché. Un altro viene assunto per un lavoro, e poi viene liquidato col pretesto di un “disguido burocratico”. E ogni loro tentativo di ottenere il benché minimo chiarimento, non porterà alcun risultato: finirà anzi per peggiorare le cose.
« Il Castello ha molti ingressi. Ora è in voga l'uno, e tutti passano di lì, ora l'altro, e il primo è disertato. Secondo quali regole avvengano questi cambiamenti non s'è ancora potuto scoprire. » 

Sicuri di voler essere bravi come Kafka?

Tiriamo in ballo anche un italiano: Dino Buzzati. Nel celebre romanzo Il deserto dei Tartari l'elemento "magico" non riguarda i personaggi, ma la dimensione che li circonda: la Fortezza è una sorta di buco nero che risucchia ogni cosa, emozioni, desideri, perfino il Tempo. Lo scorrere dei giorni è ridotto a un singolo istante di attesa, che si ripete senza apparente possibilità di meta. Anche in altre splendide raccolte di racconti (La boutique del mistero, Sessanta racconti), si ravvisa questo senso di minaccia latente, mai del tutto rivelata. Buzzati è in assoluto uno dei mie autori preferiti, e certo tornerò a parlarne.

Nel caso di Murakami gli elementi fantastici si palesano attraverso sogni, ricordi, visioni che tracciano legami invisibili fra le vite dei personaggi, ignari attori di un disegno che si svela poco a poco. La qualità dei romanzi di Murakami tuttavia è molto altalenante, e probabilmente la sua opera più riuscita è La fine del mondo e il paese delle meraviglie, che però, a mio parere, è inquadrabile nel fantasy vero e proprio. A breve pubblicherò una recensione dettagliata di una delle sue opere più famose: 1Q84


Bizzarro

Chiudiamo l'articolo con una mia recente scoperta: il bizzarro. E' un genere che credevo di conoscere pochissimo, ma dopo aver letto alcune opere di Cartlon Mellick III (tradotte in italiano grazie al team di Vaporteppa), mi sono accorto di aver già incontrato qualche accenno di bizzarro, soprattutto in alcune opere di Tommaso Landolfi (La spada, Il mar delle blatte). 
Il Bizzarro è, a mio avviso, un metagenere, poiché non fa che arricchire di elementi weird terreni già esplorati da altri generi (fantasy, commedia, splatter etc). A che pro?  Divertire e stupire il lettore. Per certi versi, si può ritenere Mellick una via di mezzo tra Hayao Miyazaki, David Lynch e Quentin Tarantino
Scopo del bizzarro non è tramortire il lettore con un cumulo di stranezze fine a se stesso (un'esperienza di questo tipo verrebbe subito a noia). Dietro un'opera di questo tipo c'è lo stesso lavoro necessario a costruire un qualsiasi altro buon romanzo di genere, ovvero: storia coerente, tensione drammatica e compagnia bella. Peraltro, i personaggi vivono all'interno di universi in cui il bizzarro è accettato come un elemento del tutto normale. Per tale ragione, è possibile ravvisare delle somiglianze tra alcune opere appartenenti al bizzarro e altre riguardanti il realismo magico. Pensiamo al romanzo breve Puttana da Guerra: il setting ricorda quello de Il Deserto dei Tartari (militari impiegati contro un nemico mai incontrato e probabilmente inesistente), ma troviamo qui anche una creatura frutto dell'ingegneria genetica - la puttana da guerra, appunto - capace di cambiare sesso e trasformarsi al bisogno in un soldato o in una prostituta al servizio dei militari (e che dire del gioco della pallasega: geniale!). Nell'opera Il ninja morbosamente obeso abbiamo un plot non particolarmente originale, ma il risultato finale è comunque molto appagante per via di un world building stupefacente, personaggi carismatici, e un sottile senso dell'umorismo. E' bene sottolinearlo ancora una volta: sebbene abbia avuto l'impressione che a volte Mellick se la sia spassata a calcare la mano per il mero gusto di stupire/divertire il lettore (e devo dire che in questo è molto bravo), la regola generale del Bizzarro è che gli elementi weird debbano avere funzioni e correlazioni ben precise nella storia e/o nel world building.
Torneremo in maniera più dettagliata sulle opere di Mellick, per ora è meglio fermarci qui. Pensavo di scrivere poco, invece ho buttato giù più di tredicimila caratteri. Ho trascurato moltissimi autori che conosco abbastanza bene (anche se non tutti mi piacciono, anzi...), autentici mostri sacri o precursori dei generi menzionati (Pirandello, Bontempelli, Cortàzar, Süskind, Bulgakov, Calvino, Faulkner, Hoffmann, Kundera,  Zavattini....), ma per ora accontentatevi.