giovedì 26 novembre 2015

Il minestrone di Atlante (con contorno di gamberi)

Come promesso, ho deciso di pubblicare una recensione riguardo uno dei romanzi della collana Vaporteppa. Perché iniziare proprio da Lo specchio di Atlante? Semplice: sono sempre stato un misantropo patito di labirinti, distorsioni temporali, mondi paralleli...in pratica, tutto ciò che riguarda il genere surreale e il realismo magico. Penso di aver letto una discreta fetta di ciò che la narrativa mondiale (tradotta in italiano) offre in quest'ambito. Per questo ho preferito rimandare la lettura delle tipiche opere ducali che trattano tettone, vaporetti e roba simile, e concentrarmi su un romanzo che si annunciasse più vicino ai mie gusti. Peccato che le aspettative siano rimaste per buona parte deluse.
Inizierò con l'esame dello stile, come da tradizione gamberesca. A tal fine, abbandonerò le mie spoglie umane per tramutarmi temporaneamente in un ittico e intelligentissimo discepolo della Scuola Gamberi. Solo così potrò adottare un metro di misura adeguato, degno della Dea. 
Vi avviso che l'intera recensione è spoilerante, quindi evitate di leggerla se avete intenzione di acquistare l'opera.


A seconda della gravità dell'errore/problema riscontrato, assegnerò di volta in volta una valutazione:

Un gambero infilzato: errore/problema poco grave
Due gamberi infilzati: errore/problema rilevante




Tre gamberi infilzati: orrore






Prima di tutto, però, diamo uno sguardo ai protagonisti del romanzo.

I nostri tipici eroi

 

La migliore espressione di Heron
Heron: tipico protagonista anonimo, trasparente e insapore come acqua distillata. Si trova coinvolto in enigmi e casini giudiziari che, in mancanza dell'ispettore Derrick o di L di Death Note, dovrà risolvere aguzzando l'ingegno.





Zephirock
Zephiro: tipico maestro saggio, anziano, venerabile etc. Ogni tanto sfoggia slang molto yeah, della serie “sono vecchio ma non un fottuto rincoglionito”, il che lo rende anche abbastanza antipatico. Lati positivi: ha lo stesso nome dello zucchero che uso di solito.






...però lui aveva un omuncolo più grosso e peloso
Kalomon: tipica spalla del tipico protagonista anonimo. Sfrontato, presuntuoso, crede di essere fico, simpatico...le solite cose in stile "Ian Solo" di Star Wars. Ma alla fine, inaspettatamente ^_^, abbasserà la cresta anche lui.

 

 

 

 

 

Sciòu-don-tell e Pointovviù, distruzioni per l'uso

 

In numerosi casi l'autore (con la complicità del Duca) utilizza la tecnica che Scott Card definisce "penetrazione profonda", ovvero una totale immersione nei pensieri del personaggio senza spezzare la narrazione (per un approfondimento sul tema, qui). Ora, quando si parla di punto di vista (POV) non è sbagliato alternare diversi livelli di penetrazione nel corso della narrazione, ma ritengo inopportuno farlo nella medesima scena. Esempi:
Cosa sarà accaduto a Ilina? Non sapeva ancora cosa accadesse ai sogni durante la veglia. Continuavano a esistere? O svanivano a ogni risveglio? Zephiro aveva una risposta per questo? Glielo avrebbe chiesto.
Questo era il terzo sé stesso che lo lasciava. Sia maledetta l’insensibilità di Zephiro. Perché imporre agli Apprendisti di dare agli omuncoli il loro aspetto? Assistere al proprio decadimento fisico era una lezione di saggezza o di cinismo?
Quello che Heron stava ascoltando da Zephiro era sempre stato presente, in qualche modo, nella sua mente, anche se non aveva mai voluto ammetterlo. È strano come essere cosciente di tale potere mi faccia sentire inadeguato per utilizzarlo.

Che senso ha mescolare i pensieri del personaggio in penetrazione leggera (interrompendo la narrazione con le classiche frasi in corsivo) con quelli espressi in penetrazione profonda? Nell'ultimo estratto, ad esempio, bastava portare tutto in penetrazione leggera, scrivendo: In fondo l'ho sempre saputo, ma non ho mai voluto ammetterlo. È strano come essere cosciente di tale potere mi faccia sentire inadeguato per utilizzarlo. Oppure si poteva trasformare tutto in penetrazione profonda. Mescolare diversi livelli di penetrazione nella stessa scena può creare nel lettore un senso di fastidio non dissimile da quello dovuto al repentino cambio di POV da un personaggio all'altro.


Ecco uno ben più esperto del Duca a proposito di livelli di penetrazione

Abbiamo poi diversi casi di dubbie intromissioni del narratore, mini-infodump e gestione del POV traballante:


Gli inchini non erano previsti nel cerimoniale dei Maghi, ma Heron non poteva fare a meno di abbozzarli… anche se poi li lasciava incompleti. Il Maestro non li sopportava.
I lettori, invece, non sopportano frasi del genere. Inchiostro elettronico sprecato.


Ma, a differenza del collega, sapeva quando era poco consigliabile parlare.
Per allontanare la puzza del narratore sarebbe stato meglio scrivere: “Ma preferì tacere per non beccarsi anche lui una lavata di testa.” O qualcosa del genere.



Lo vide crescere sotto i suoi occhi e mettersi in piedi, sulle gambette instabili [...]. «Salve,» disse. Gli omuncoli erano subito in grado di parlare. Il piccolo era già autonomo. E, in un ciclo lunare, avrebbe vissuto tutte le fasi dell’esistenza di Heron.
Piero Angela non avrebbe fatto di meglio. Complimenti per l'esempio da manuale di infodump.


La fanciulla era stesa sul giaciglio del suo sonno perenne. Accanto al letto, zia Lenora le stringeva la mano tiepida.
Ma chi è il personaggio POV qui? Fino a poco fa eravamo con Heron e ora siamo con la zia Lenora?


Le fiamme avvolsero il corpo del compagno che, spinto dalla mano di fuoco, fu proiettato verso la tela nera della notte. Una meteora oltre il Ciglio del Mondo.
Dio onnipotente! Era questo il momento in cui un lettore ardimentoso come me doveva balzare dalla sedia con un roboante “WOW!”, dico bene? Già, questa è poesia ragazzi! In pratica, se ho ben capito, Heron viene buttato nel baratro dal Demone. Oppure non è andata proprio così? E il demone che fine ha fatto? Qualsiasi stronzo al posto di zio Zefi avrebbe posto a Kalomon queste domande (e molte altre), considerando l'importanza cruciale dell'evento, ma vuoi mettere col finale poetico? Ma soprattutto: come mai quel cazzone di Kalomon, che non rinuncia mai ai suoi modi sprezzanti e spiccioli, conclude il suo racconto come avrebbe fatto un poeta dell'ottocento ("tela nera della notte", "meteora oltre il Ciglio del mondo")?

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?
  

Tacquero. La piovra li osservava, sorniona, dal fondo della boccia.
In ginocchio sui ceci, Duca: hai usato il Telling, l'incantesimo proibito.


Il Maestro fece un mezzo sorriso ma non parlò.
Peggio di prima: stavolta, in ginocchio sui gamberi.


Cosa accadrebbe al mio corpo addormentato in Maniero? Non poteva saperlo.
I lettori sanno che non poteva saperlo. Il personaggio POV sa che non poteva saperlo. L'autore sa che non poteva saperlo. Quindi, esimio Duca, perché cazzo ce lo hai scritto?


Era un enigma che lo affascinava, ma non se la sentiva di tentare un esperimento per scioglierlo. Non gli andava di morire per verificare una teoria filosofica.
Ma veramente? No, mi rifiuto di crederlo! Che codardi questi maghetti allevati dal Duca.

 

Insalata di mare

 

L'Incipit del romanzo è obsoleto: invece di catapultare il lettore nella vicenda, il tutto si risolve in un preambolo senza capo né coda, infarcito di considerazioni/informazioni vaghe e fumose quando non da cassare in tronco, rime sfigate ("contadino-caprino", "sorgente-fluente") e, in generale, un tono pomposo che sembra voler annunciare chissà che, stile l'intro de Il SIlmarillion (ma in quel caso c'era ben altra carne sul fuoco).


Il Maestro è troppo immobile. Dev’essere almeno al Quinto Livello di Meditazione.
 Questa trovata dei livelli di meditazione (peraltro ribadita svariate volte nel corso del romanzo) è abbastanza ridicola. Spero che il Duca e l'autore ne fossero consapevoli, e che abbiano solo voluto concedersi una parentesi di autoironia, riferendosi alle stronzate tipiche dei fantasy di infimo livello. Io ne avrei comunque fatto a meno.

L’omuncolo si rizzò in punta di piedi sulla spalla del padrone, mise le mani a coppa davanti alla bocca e strillò: «Svegliati, vecchio bacucco!» La piovra si agitò nella boccia. Lo strano animale si colorò di nero. Heron e Kalamon sobbalzarono.
Perchè separare le frasi con interpunzione forte, dal momento che il tutto si svolge nel tempo di uno strillo?

Zephiro recitò una formula sub vocale e l’esserino cadde a terra pietrificato, con un tonfo secco.
 Questa è tosta, qualcuno mi spiega cosa sarebbe una formula sub vocale?

Il lago era immobile. Heron, attraverso la siepe, non scorse movimenti nelle sue profondità.
 Come può un tizio (ancorché cazzuto come Heron) capire se c'è movimento nelle profondità di un lago, osservando da una siepe?

Heron, con passo strascicato, percorse un sentiero fra le felci, che si aprivano al suo passaggio.
 E poi, una volta passato Heron, immagino che si richiudessero, vero? Davvero imprevedibile il comportamento di queste felci.

Heron si affacciò. La scalinata proseguiva a ridosso della parete, rimpicciolendo e perdendosi più sotto. Non aveva parapetto, né corrimano [...]. Materializzò un globo di luce fredda, che lo precedette, rischiarandogli il cammino. L’aria era secca e pungente. Sulla roccia non c’erano ciuffi d’erba, né cespugli cui aggrapparsi, cosicché la discesa risultò lenta e difficile.
Alla faccia del cazzo...questo qui materializza sfere di luce (fredda, per di più!) come niente fosse, però non riesce a inventarsi niente per evitare di precipitare nel vuoto all'interno del suo stesso sogno. D'accordo che la scala è stretta e senza corrimano - ma tu guarda un po' che caso strano, non poteva essere larga e comoda, vero? -, e che Heron non ha pieno potere di plasmare i suoi sogni come gli pare e piace, ma visto che il maghetto può creare sfere di luce, proprio come se si trovasse nel mondo “reale”, allora per quale ragione, esattamente, non può creare anche qualcosa che lo aiuti a non precipitare dalle scale? Un po' di fantasia Duca, suvvia...

Percorse con lo sguardo il graduale confondersi e offuscarsi del cielo nella zona crepuscolare, fino al completo buio della notte totale
 Qui l'autore utilizza, evidentemente senza saperlo, una figura retorica (chiasmo) utilizzata soprattutto in poesia. L'effetto in prosa è ovviamente orrendo, ma il Duca non sembra preoccuparsene.

Descrizioni che non descrivono o descrivono male

L’erba, gli alberi, i fiori, il cielo, il lago, il Palazzo scintillante, erano un tale caleidoscopio di tinte che la loro concretezza appariva un assurdo. A conferma dell’enormità dello sforzo creativo, tutto esauritosi in quella superba realizzazione, l’orizzonte appariva vicinissimo e lasciava all’esterno un vuoto che ancora attendeva di essere plasmato in una nuova fantasmagoria. Poco lontano, davanti a loro, il paesaggio s’interrompeva come delimitato dall’orlo di un baratro.
In base ai parametri della Scuola Gambardimentosa, questa descrizione fa abbastanza schifo. Povera di elementi concreti, densa di termini vaghi, aggettivi inutili, senza contare la storia del "paesaggio interrotto". Forse, prima ancora di Heron, lo sforzo creativo avrebbero dovuto farlo il Duca e Cicchetti.

Per un istante temette di essere capitato chissà dove ma non c’erano dubbi: era proprio nel suo sogno: la linea dell’orizzonte era interrotta da quell’impossibile baratro.
Uhm. Non so voi, ma io trovo difficile visualizzare l'immagine della linea dell'orizzonte interrotta da un "impossibile" baratro. La linea dell'orizzonte è per definizione lontana dall'osservatore...quindi come può costui capire se c'è un baratro che la "interrompe"? E cosa significa esattamente che la "interrompe"? Non sarebbe stato più corretto riferirsi a qualche elemento concreto (che so, un bosco, una montagna) come confine oltre il quale si spalanca il baratro?

Sul vestito bianco della ragazza, in mezzo al petto, c’era l’impronta di una mano. Una mano sinistra impressa come un marchio di fuoco.
A parte il fatto che la descrizione lascia molto a desiderare (non si capisce bene se parliamo di una mano infuocata o cosa, ma per fortuna Cicchetti lo spiegherà meglio in seguito), ma vi pare che se un maghetto apprendista (come Heron) si trovasse di fronte una scena simile, invece di allarmarsi, guardarsi intorno etc, starebbe lì a pensare che la mano che ha lasciato l'impronta di fuoco è la sinistra? Ma peppiacere! E' chiaramente una forzatura introdotta dall'autore per ragioni di trama.

Il sentiero costeggiava il lago e serpeggiava nel boschetto di olmi. C’era un silenzio innaturale. Il Giardino era brulicante di vita, ma Heron non ne coglieva la presenza.
Il giardino brulica di vita...ma che dico, pullula di vita! E di che vita parliamo esattamente? E che cazzo significa che Heron non ne coglie la presenza? Non è un controsenso?

Fu costretto a spegnere il globo. Tenerlo acceso gli costava troppa energia, e non poteva permettersi di indebolirsi.
Di quale energia parliamo esattamente? Chi ha detto che materializzare oggetti nei sogni richiede energia (specialmente quando uno – Heron - si è già preso il disturbo di materializzare un intero mondo)? Non mi pare che questo aspetto sia mai stato spiegato nel romanzo.

Il minuscolo, vecchio Heron sorrise con gli occhi.

Attraversò i fasci di luce, che filtravano come lance nel fogliame, e s’immerse sempre di più nel bosco.
Ohibò, Duca, mi cadi su queste abusatissime espressioni cliscé? Non è da te, dai...

Chissà se anche gli occhi hanno l'alito cattivo

 
Dietro la finestra di una stanza, a livello del cortile, c’era una figura. Era immersa in un alone di luce ed emanava lampi di pura malevolenza.
Ma che cazzo mi combini Duca? Non vedi che fai ammuffire il carapace della Dea Gambera con questi obbrobri? Non si era detto di non usare mai termini vaghi e astratti nelle descrizioni? Ci sarebbero ancora altri appunti da fare, ma con l'esame dello stile mi fermo qui.

Come ti creo il fantagiallo

E veniamo infine al vero tasto dolente di questo romanzo: la trama. O meglio: la tipologia di trama. I problemi iniziano quando Zephiro decide di entrare dentro la povera Ilina (niente battute da due soldi, grazie: ci ha già pensato Zefiro, con un'uscita humor di serie Z, di quelle che piacciono tanto al Duca, quando dice: "Ma chi sarà il Demone che lascia impronte sui seni? Uno sporcaccione!") che sta sognando non si sa cosa. Heron nel frattempo è a spasso nel proprio sogno, a trovare un vecchio mago (ma ogni tanto non si potrebbe avere un mago giovane? O una maghessa strafica? Eccheccazzo). A questo punto, Zefiro si rende conto di non trovarsi più nel sogno di Ilina, ma in quello di Heron. Ma poi ci ripensa: non è proprio così. E' Ilina che può entrare nel sogno di Heron! Dunque, il nostro Zefi (che peraltro va a zonzo per i sogni in forma astrale, quindi in "modalità" differente rispetto a Heron e Ilina che invece sono "reali"!) si trova nel sogno di...? No, perdio, sbattetemi un istrice in faccia, farebbe meno male! Qui bisogna lasciare le molliche di pane per raccapezzarci qualcosa. Ma attenzione, signori, perché il vero casino deve ancora arrivare! Questo è solo il primo, umile tassello del fanta-rompicapo che vi sta per travolgere! Proseguendo nella lettura, i più attenti noteranno certamente somiglianze con opere di autori vicini al genere surreale/realismo magico. Io, ad esempio, ho pensato subito a un racconto de Il libro di sabbia, in cui Borges incontra se stesso da giovane. Tuttavia, c'è una differenza fondamentale tra Cicchetti e Borges: la maggior parte delle pippe mentali di quest'ultimo si sviluppano in forma di racconti brevi.
Insomma, leggere un racconto di Borges ben vale un mal di testa, come una sana scopata vale un mal di schiena, ma Cicchetti ha deciso proprio di stupi(di)rci con effetti speciali. E non è finita qui. La situazione peggiora quando ci si rende conto che, in effetti, l'autore non voleva scrivere una versione allungata e pompata di qualche racconto borgesiano, infilando ovunque specchi dimensionali, sogni dentro sogni, personaggi sdoppiati, e via dicendo. No, miei cari gamberetti: lo scopo di Cicchetti era quello di scrivere qualcosa che somigliasse a un giallo. Proprio per questo, un lettore fantasy non abituato a ragionare come Perry Mason, suderà sette camicie per seguire le varie diramazioni della storia. Se almeno il Cicchetti si fosse limitato a piazzare qualche specchio dimensionale qui e lì, evitando di metterci in mezzo pure i sogni, i sognatori dentro i sogni, i sogni condivisi, le forme astrali e altre diavolerie, l'opera ne avrebbe guadagnato non poco. Insomma, un tizio acquista su Vaporteppa un'opera che reca sulla copertina la scritta “romanzo fantasy”. E invece cosa si ritrova? Una trama composta per il 50% da caratteristiche tipiche del romanzo giallo, 30% di realismo magico (filosofate varie sulle dimensioni spaziotemporali etc), 20% di fantasy (più che altro per l'ambientazione). Da cui si desume che questo romanzo non è un fantasy. Al massimo, potremmo definirlo un “fantagiallo”.
D'altronde, come definireste un romanzo la cui parte centrale si svolge in un tribunale (in un processo serio che vede imputato il protagonista - nulla a che vedere col tribunale folle e surreale di Alice nel paese delle meraviglie) dove troveranno spiegazione tutti gli eventi accaduti fino a quel momento? Ulteriore conseguenza di questa bizzarra scelta narrativa sta nel fatto che il conflitto è ridotto a una mera ricerca di “chi ha fatto cosa e perché”: non c'è spazio per altro, i personaggi sono “freddi”, meri attori di questo gioco, come avviene appunto in molti romanzi gialli. Fortunatamente i protagonisti hanno anche delle controparti “cattive” che non si dilettano a combattere il Bene per dominare l'universo e boiate varie, ma solo per salvaguardare la sopravvivenza del proprio mondo. Ciò allevia un poco la netta sensazione che i personaggi principali non siano altro che manichini su cui l'autore ha cucito la sua labrintica trama. Per le stesse ragioni, è inevitabile che la tensione cada a picco dopo la fase del processo, e il finale dell'opera, a dir poco scontato, per non dire “obbligato”, dimostra ancora una volta come in questo romanzo l'elemento fantastico funga da mero contorno di una vicenda improntata su elementi tipici di altri generi lontani, molto lontani dal fantasy e, se vogliamo, anche dal realismo magico. 

Due e due fanno quattro, disse il Duca

A supporto di quanto detto finora, vale la pena ricordare che il nostro Cicchetti non è certo un novellino in fatto di gialli: nel Premio Tedeschi 2012 si è classificato finalista con un romanzo rientrante proprio in questo genere, intitolato Il rifugio dell'orco. Naturalmente ciò non depone a favore dell'opera qui recensita. Semmai, rende ancora più chiari i motivi delle scelte narrative adottate ne Lo specchio di Atlante, scelte che hanno poco a che fare col fantasy. Potremmo allora definirlo un buon libro giallo? Non ne ho idea, ma posso supporre che gli elementi surreali/fantasy potrebbero rendere l'opera indigesta anche a un amante di Agatha Christie, dunque non saprei davvero a chi consigliare la lettura di quest'opera. 

Gamberetta dixit

La Dea dei sette mari ebbe a scrivere quanto segue riguardo quest'opera:
Presto questo moltiplicarsi di mondi (i mondi in sogno, i mondi dietro gli specchi, i mondi dietro gli specchi in sogno) rende il romanzo un bel casino. Lo dico in senso positivo: è piacevole farsi trasportare in questa Realtà labirintica. Onestamente non posso mettere la mano sul fuoco riguardo la coerenza della storia, per farlo avrei dovuto tracciare una sorta di “mappa” di tutti i personaggi e i loro mondi, e non mi sembrava il caso.
Proprio così: tracciare schemi e prendere appunti per non perdere il filo della storia sono attività che interessano ben poco a un lettore di libri fantasy. Se poi Gamberetta ha trovato piacevole lasciarsi trasportare in questa realtà labirintica senza capirci una mazza...beh, c'è chi trova piacevole farsi frustare a sangue o infilarsi i chiodi nel naso: ciò non vuol dire che siano attività solitamente piacevoli, o sbaglio? Ora, capisco che la prima versione di quest'opera (prima che ci mettesse sopra le zampe il Duca) sia sbocciata in piena era di Fantamonnezze e che quindi siano stati giustamente esaltati i suoi pregi. Non nego che l'opera abbia un certo valore filosofico, né voglio ignorare l'originalità e il fascino di alcune trovate (il Libro dei Se, in particolare, mi è piaciuto molto), ma da qui a definirlo un buon fantasy ce ne passa. 

Conclusioni

Quanto allo stile, mi limito a un "passabile": gli errori evidenziati dimostrano obiettivamente come la millantata sapienza del Duca sia ben lontana dal generare i risultati soddisfacenti eccezionali da lui promessi. Riguardo la trama, ribadisco quanto già detto: potreste apprezzarla molto se amate i gialli o i thriller incasinati, ma sconsiglio l'opera a chiunque cerchi uno sviluppo narrativo più lineare (tipico di un romanzo fantasy e di molte opere rientranti nell'ambito di generi cugini, come il surreale o il realismo magico). 

SCHIFOMETRO

6 commenti:

  1. Ho apprezzato davvero molto la recensione. Puntuale, personale e senza peli sulla lingua. So che non rientra nelle tue corde, ma pensi sarebbe possibile in un prossimo futuro accanirsi sul mio racconto targato Vaporteppa??? (Ti prego, ti prego, ti prego)

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    1. Naturalmente. Tu sei l'autore di L1L0 vé? L'ho già letto..attendi fiducioso.

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    2. Eccomi! Sì sono io! Resto in trepida attesa allora! E mi preparo a insaccare.

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  2. Chi ha scritto questa recensione o sta trollando o non ha letto la postfazione. Chiarisco: questo non è un romanzo inedito, ma è solo una riedizione. È un restauro nato dal compromesso tra ciò che voleva conservare l'autore e ciò che voleva rivoluzionare Marco Carrara. Ma ripeto: è una riedizione di un romanzo del 1991 basata su un compromesso. Ed è una cosa esplicitata nella postfazione, quindi che ci siano vari errori tecnici è la scoperta dell'acqua calda! Il Duca ha accettato questi compromessi perché voleva far conoscere al pubblico uno dei pochi romanzi fantasy decenti mai pubblicati in Italia, che però la Fanucci non aveva più ristampato.
    Insomma, "Lo Specchio di Atlante" è l'opera meno rappresentativa di tutte di Vaporteppa. Ti consiglio di provare in primis "Abaddon" (che è scritto divinamente con un'ottima prima persona), poi "Piloti e Nobiltà", "La Gatta degli Haiku" e "Caligo". Tieni conto, però, che il racconto di Giulia Besa ha uno stile influenzato dal tono fiabesco e il romanzo di Scalzo ha qualche difetto strutturale in quanto è anch'esso un restauro (la versione originale è stata scritta prima di studiare il famoso saggio di Dara Marks).

    P.S. ma in tutto ciò che cosa c'entra Gamberetta?! Ricapitoliamo: la famosa blogger è sparita da un bel po' e non ha nulla a che fare col progetto Vaporteppa. Ma proprio nulla, zero, nisba! L'unica eccezione è il contributo offerto con l'Introduzione alla Bizarro Fiction presente alla fine dei racconti tradotti di Mellick III. Stop.
    Inoltre, dall'epoca in cui Gamberetta bloggava, il Duca è andato molto avanti con lo studio delle tecniche narrative. Ho studiato con lui e ti posso garantire che offre basi teoriche molto diverse da quelle di gamberettiana memoria. Ad esempio, il focus non è più sullo "show, don't tell", ma sul punto di vista. Il Mostrare è solo la logica, ovvia e naturale conseguenza di una buona gestione del punto di vista. Pensando il romanzo attraverso un certo POV e nel "qui e ora", certe scelte si escludono in automatico. È impossibile vivere il raccontato nel "qui e ora", per dirne una, ma potremmo anche parlare di Sommersione dell'Io, di Multisensorialità e Dinamismo, di soggettivazione dell'oggettività e di penetrazione psicologica (attento che il testo di Card è un po' fuorviante), del fatal flaw e dell'arco di trasformazione del personaggio etc etc. Il tutto tenendo conto della natura retorica della narrativa (Booth) e dei moderni sviluppi della neuronarratologia.

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  3. Ad ogni modo, concordo sui difetti riscontrasti nel romanzo di Cicchetti, ma va notato che rispetto alla versione originale c'è stato un netto miglioramento. Sarebbe stato meglio un editing più profondo, ma Cicchetti non ha voluto. E va bene così, in fondo questo romanzo è più una testimonianza storica dell'esistenza di un fantasy italiano un minimo originale (a tratti quasi vagamente new weird) in tempi non sospetti.
    Sarei curioso di leggere qualche altra opera di Giulia Besa e Giuseppe Menconi, piuttosto. E anche di sapere com'è migliorato Scalzo dopo "Caligo" (di cui lui stesso ammette i difetti). E Ferrara e Durigon? Entrambi hanno pubblicato racconti risalenti al Concorso Steampunk del Duca, quindi roba vecchia, quindi chissà cosa staranno scrivendo di recente. Ci deve essere sicuramente tanta carne sul fuoco, dato che è da un po' che Vaporteppa si limita a tradurre opere di Mellick III e nel frattempo accenna a inediti in lavorazione.
    Vaporteppa è un progetto interessantissimo, specie per l'arido panorama italiano. È un esperimento che punta alla qualità e che sta anche andando bene a livello commerciale. Io attualmente non ho romanzi fantasy, fantascientifici o horror, altrimenti proverei a pubblicare con loro. Io ho studiato col Duca all'epoca dell'agenzia, non so come strutturi i corsi attualmente, ma bene o male conosco il suo metodo. E non vedo cosa c'entri Gamberetta, che non ha inventato nulla, che è sparita dal web da secoli e che non collabora attivamente con Vaporteppa (se non per quell'Introduzione).
    Poi è chiaro che criticare Vaporteppa è legittimissimo, ma bisogna farlo con cognizione di causa. Ad esempio, non c'era modo di sistemare meglio il racconto di Durigon prima della pubblicazione?

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  4. Rispondo punto per punto (devo sintetizzare all'osso per mancanza di tempo, ma tornerò in maniera più approfondita sulle gesta del Duca):
    1) Leggere la postfazione non ha nulla a che fare con il fatto che il romanzo venga presentato dal Duca come fantasy quando non lo è.
    2) Leggere la postfazione non è obbligatorio né serve a dimostrare che il Duca in realtà "è più bravo" di quanto ha dimostrato con questo romanzo. Ho già letto i racconti finalisti di Vaporteppa e non li reputo certo capolavori: ne parlerò presto sul blog.
    3) Gamberetta c'entra sempre. Chi lo dice? Il Duca.
    4) Fatal flow, sommersione dell'Io (ma di quale IO? Quello di Jung, quello di Freud? Quello di Kafka? Quello di Michael Jackson? Insomma, non mi cadete su questi paricolari, ragazzi!), psicosintopatologia dell'antagonista inverso a fusione fredda.... Uhm. Impressionante, lo devo ammettere. Ma forse...no, non abbastanza. Dovete impressionarmi di più. Comunque se il Duca ha intrapreso un percorso disintossicante dallo Scioudontell non posso che essere contento, specie se lo scopo è quello di concentrarsi sul POV "qui e ora" del personaggio. Ho detto DEL PERSONAGGIO. Non del Grande e Grosso Duca. Ma è proprio qui che casca l'asino...sui gamberetti. Il discorso è MOLTO più lungo e complesso di quanto sembri, e onestamente non so quanto valga la pena affrontarlo...
    Comunque, quanto prima mi occuperò anche delle altre opere di Vaporteppa, così potrò appurare se davvero questo Specchio di Atlante è la "pecorella smarrita e meno rappresentativa" della collana che viaggia a tutto vapore.

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